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LA PATAGONIA SECONDO HERVE' BARMASSE

Il Cerro Piergiorgio riaffiora tra i ricordi del passato: In montagna quello che conta, quello che ognuno si porta dentro, sono le esperienze che si fanno, non i numeri.

La Patagonia, terra mitica di avventurieri ed alpinisti. La Patagonia che strega, fa sognare e si fa desiderare. Per Hervé la Patagonia è stato, questo dicembre, un ritorno alle origini, un appuntamento con la storia. Ricorreva infatti un anniversario: dieci anni dall’apertura della via sulla parete nord-ovest del Cerro Piergiorgio con Cristian Brenna.


 

Perché per Hervé la Patagonia è così importante?

In Patagonia le probabilità di successo sono veramente basse, figurarsi su di una via nuova. Forse il vento che piega ogni cosa e il senso di ignoto amplificano le emozioni che si provano, le rendono più forti, al di là dei risultati. Hervé lo dice sempre: in montagna quello che conta, quello che ognuno si porta dentro, sono le esperienze. Al di là dei numeri, dei nomi e dei gradi.

C’è un legame a doppio filo che si crea, a volte, tra un alpinista ed una montagna. L’uomo sogna la parete, la parete sembra chiamarlo, come sapesse di averlo ammaliato per sempre. È il caso di Hervé Barmasse ed il Cerro Piergiorgio.



 

Quale sogno hanno inseguito Hervé ed i suoi compagni di cordata?

Un viaggio alla fine del mondo per esplorare qualcosa di nuovo, ma questa volta per concludere anche un vecchio progetto. Ci sarà infatti Maurizio Giordani, ideatore assieme a Luca Maspes di una via visionaria per l’epoca sul Cerro Piergiorgio negli anni novanta, rimasta tuttora incompiuta. Poi nel 2006, Luca Maspes propone ad Hervé ed altri forti alpinisti di aiutarlo a chiudere i conti con questa linea. Accade un incidente sfortunato, una scarica di sassi che travolge Luca alla base della parete mentre il resto del team è in azione. Luca miracolosamente è vivo, ma il Cerro Piergiorgio ha allontanato di nuovo gli alpinisti. Chissà cosa ha pensato ora Hervé quando Maurizio gli ha proposto di tornare su questa parete, ancora una volta. Purtroppo anche questa volta il maltempo ed il vento patagonico hanno avuto la meglio.



 

Le storie, le emozioni, si accumulano, sedimentano nell’anima. Mentre la via rimane là, ancora incompiuta. Gli alpinisti crescono, maturano le loro esperienze vissute in montagna, vivono e bruciano di passione. Le montagne invece restano immobili e statuarie, muti e gelidi giganti forse insensibili al calore degli uomini.

È stato un viaggio alpinistico, un appuntamento con il passato e una sfida ancora aperta con il futuro. Ma soprattutto, come ci dice Hervé, una vacanza. Si, perché ogni spedizione in fondo rimane una vacanza in montagna.

 


 

Mentre Hervé era alle prese con il freddo ed il vento della Patagonia, a casa, la sua compagna, è in attesa della seconda figlia. Come affronta Hervé una spedizione da alpinista/papà?

“Cerco sempre di ascoltare la montagna, il mio istinto. Il fatto di avere una famiglia non cambia il mio modo di essere alpinista. Quello che cambia è che di solito parto per un mese, e torno dopo due. Questa volta invece ho detto un mese, e dopo un mese sono tornato veramente!”



 

 

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